29/07/2008
Responsabilità sociale della pubblicità

Negli ultimi anni, di fronte al diffondersi di una consapevolezza sempre più ampia della rilevanza sociale dei media e dunque anche della pubblicità, nonché all’emergere di un nuovo tipo di consumatore, definito “critico”, in quanto sempre più attento al “modus operandi” dell’impresa, diverse figure sociali sono scese in campo per esprimere le loro considerazioni in merito. [...]
Dalle recenti indagini emerge che esiste una stretta relazione tra la pubblicità ed alcune delle problematiche che caratterizzano la società, in particolare quelle categorie più “deboli”, quali possono essere minori e anziani; si tratta di problematiche di varia natura, che possono risultare più o meno gravi, a seconda che riguardino la salute psico-fisica dell’individuo o più semplicemente la diffusione di idee e visioni della realtà spesso fuorvianti (enfatizzando troppo certi valori a discapito di altri). I pubblicitari hanno pertanto una grande responsabilità sociale, in quanto il loro compito non è solo quello di indirizzare l’uomo verso l’acquisizione continua di beni materiali, ma di promuovere una vera comunicazione che porti alla crescita, allo sviluppo ed alla maturazione dell’uomo stesso, nel rispetto di sé e degli altri.
(dalla tesi di laurea in Scienze della comunicazione di Carla Di Gianvincenzo, a titolo "Brand reputation e responsabilità sociale della pubblicità", tratto dal sito http://www.comunitazione.it)
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28/07/2008
Differenze antropologiche
Dopo aver contestato ad Aristotele che non è denominatore comune di tutti gli uomini l'unirsi in società, Nietzsche ha analizzato i valori intorno a cui gli uomini si aggregano, valori che provengono dalla loro comune volontà. A questo riguardo N. si sofferma sulla differenza antropologica dettata dalla diversità tra volontà. Un tipo di volontà si identifica con quella comune, l'altra se ne distanzia. Ciò che anzitutto diversifica le due volontà è la sopraddetta inclinazione al comando piuttosto che all'obbedienza. Entrambe le antropologie sono animate dalla voglia di potere, con la differenza che quella incline all'obbedienza tende a unirsi in gruppo per sentirsi più forte e struttura una morale a sé confacente, che è fondamentalmente animata da un celato istinto di vendetta.
N. chiamerà questa struttura morale la "morale del gregge" o la "morale degli schiavi", quale forma repressa e implicita di una volontà di potenza incapace di affermarsi, perché soggiogata dagli ideali platonici e dai suoi derivati e quindi incapace di esprimersi esplicitamente.
A questa "morale del gregge" contrappone quella differente di chi, liberatosi dal giogo del mondo ideale, è incline al comando, e perciò instaura la "morale aristocratica" o "morale dei signori". La "morale dei signori" si differenza da quella "gregaria" in quanto si fonda su una espressione esplicita della volontà di potenza che ha il coraggio di affermarsi. A riprova di quanto detto si può notare come l'una, quella "gregaria", sia fondata su uno scopo che sta al di là di quello che il singolo può effettivamente raggiungere, e questo perché è una morale basata su una volontà di potenza incapace di affermarsi. La "morale dei signori" invece si fonda su uno scopo che è effettivamente raggiungibile dal singolo, in quanto basata su una volontà di potenza capace di affermarsi.
(da Nietzsche: una guida, di Katja Galimberti - Elementi Feltrinelli, 2000 - fonte books.google.it)
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27/07/2008
Nèmesis

Secondo un recente studio delle Università di Cambridge e della California del Sud, le donne in giovane età sono più felici dei loro colleghi uomini, ma col passare del tempo le cose cambiano.
Il raggiungimento dei 48 anni è il momento in cui si verifica la svolta.... da lì in poi gli uomini si sentono complessivamente più soddisfatti delle donne.
Il motivo di tale inversione di ruoli sta nel fatto che, durante la prima parte della loro vita, le donne hanno maggiori possibilità, rispetto ai coetanei maschi, di realizzare i loro programmi, sia nel campo sentimentale che sociale.
Col tempo però "la probabilità di conseguire obiettivi duraturi negli affetti e sul lavoro si capovolge e quello femminile finisce per essere il sesso più triste"... la svolta, secondo i ricercatori, appunto a 48 anni.
(fonte Corriere.it)
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