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25/08/2011

Qualità o rappresentatività?

 

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Qualità o rappresentatività?

Questa è la basilare domanda che sembra naturale porsi quando si viene a conoscenza di norme che, in società o in pubbliche amministrazioni, impongono la presenza di una percentuale minima di rappresentanti "di genere", femminili in particolare.

La risposta più logica al quesito d'apertura è che, in un ambito in cui l'efficienza e le capacità personali sono i fattori a cui ragionevolmente dovrebbe guardarsi affinché l'incarico ricoperto sia svolto nel modo migliore possibile, l'imposizione di una "quota rosa", sia una forzatura e un controsenso.

L'utilizzo di un simile criterio, scevro da apprezzamenti di carattere qualitativo, sembra piuttosto obbedire a un principio ideale meramente egualitaristico, il quale assurge al rango di precetto vincolante nel mondo reale grazie all'inatteso favore accordatogli da precise disposizioni di legge.

Di fronte a scelte legislative come questa non ci sarebbe da meravigliarsi se un giorno ci trovassimo di fronte alla rivendicazione di un diritto di presenza in organismi di società e amministrazioni, anche di rappresentati del mondo omosessuale, o, uscendo dall'ambito di genere, di chi fa parte di una categoria che ha sue specifiche peculiarità... magari di razza o di religione o di età..

D'altro canto, a ben pensarci, non ritengo neppure possa essere particolarmente gratificante per chiunque trovare posto in alcuni contesti lavorativi/direttivi, non per meriti propri ma per imposizione di legge.

Credo allora che occorra rifuggire da queste forzature, espressione di visioni ideali utili soprattutto a dare lustro mediatico, facile plauso e consenso a chi se ne fa portavoce e promotore.

Sono queste, a mio parere, scelte politiche e legislative che trovano una loro reale motivazione soprattutto nella volontà di compiacere, di ingraziarsi in modo semplice, chi fa parte di una data categoria... perché un giorno questo cittadino «particolare» sarà chiamato anch'egli al suo diritto/dovere di elettore... e si ricorderà.

19:46 Scritto in Pensieri | Link permanente | Commenti (17)

27/07/2011

Vasi comunicanti

 

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Provo, introducendo questo mio intervento, a trovare una spiegazione al gesto criminale del folle che ha insanguinato la terra norvegese... e riesco a immaginare che egli, in questo modo, abbia forse inteso colpire al cuore una gioventù che, per tendenza politica, rappresentava il presente e il possibile futuro di un'ideologia tollerante, contraria alla realizzazione del suo progetto, spiccatamente antistraniero, antiislamico.

Ma non c'è in realtà nulla che possa in qualche modo giustificare l'accaduto.... e fa paura vedere oggi il viso sereno e compiaciuto del colpevole, dopo aver compiuto un tanto orribile atto... il viso di chi non capisce ancora l'assoluta inutilità delle sue azioni.

Io credo che non si difendano il vecchio continente e la sua identità dall'emigrazione africana, né con le barricate, né con la pratica dell'integrazione senza limiti e riserve.

Vale, secondo me, anche nei movimenti dei popoli, il principio dei vasi comunicanti: se non è possibile interrompere il collegamento, il contenuto tenderà a disporsi all'interno di tutti i vasi... e quelli meno pieni si riempiranno e quelli più ricolmi all'opposto si svuoteranno... solo se i livelli saranno simili, gli scambi saranno assai ridotti.

E questo è il punto: è responsabilità di chi è poco numeroso (poco voluminoso) o di chi lo è troppo, se si verificano degli spostamenti?

Occorre chiedersi se non sia il mondo occidentale anzitutto a suicidare se stesso e a contraddire i suoi principi, seguendo i nuovi idoli della vanità, dell'egocentrismo, dell'individualismo, della ricerca della massima soddisfazione del singolo attraverso l'acquisizione compulsiva di beni, poteri, piaceri... elementi questi che messi insieme danno un solo risultato: lo sviamento dalle leggi naturali che presiedono alla prosecuzione della specie... un'impotenza generandi frutto di una neo-cultura che deforma la realtà umana, dove la maggior ricchezza e varietà di vita diventano un freno anzichè un incentivo alla continuazione.

Dall'altra parte, lo sappiamo, c'è chi ancora non è preda di questo sistema, di questa ingannevole e luccicante società del consumo... lì la vita segue ancora ritmi semplici e misurati, lì avere un figlio non è un onere supplementare insostenibile, un qualcosa che distrae da altri e preminenti scopi, non l'aggiunta di un «corpo estraneo» da inserire in un'esistenza da dedicare all'esaltazione di se stessi... no, non è così.

E allora.... dobbiamo pensare, proprio traendo spunto dal gesto di un folle, se l'atteggiamento giusto verso il dilemma dell'immigrazione non sia né quello del rifiuto, né quello dell'accoglienza, ma piuttosto quello che mira al cambiamento di noi stessi, di quel che siamo diventati, con un occhio rivolto a ciò che dovremmo tornare a essere.

08:13 Scritto in Pensieri | Link permanente | Commenti (30)

25/06/2011

La società del debito

 

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C'è qualcosa che non convince nel modo in cui è organizzato e funziona il "mondo civile": il problema del debito pubblico e privato sembra essere un assillo sempre più presente.

Fantomatici speculatori vengono evocati nel momento in cui si teme che l'economia di uno Stato corra il rischio di essere, a causa loro, messa alla prova.

Su chi essi siano poco si discute: fondi sovrani? fondi di investimento? banche d'affari? potenti famiglie? società per azioni? multinazionali?

Ma, in ogni caso, chiunque essi siano, una cosa è certa: ci sono soggetti che vivono e si arricchiscono giocando sul debito di altri e incamerando i proventi dati dagli interessi che il debitore è obbligato a corrispondere.

Abbiamo davanti a noi una società ampiamente dipendente dai finanziamenti altrui, se non addirittura fondata sul debito... e c'è da chiedersi perché gli Stati si siano a tal punto indebitati e se non lo abbiano fatto in collusione con chi, prestando danaro, avrebbe poi avuto da tale prestito un facile e automatico guadagno.

C'è da chiedersi se le sempre maggiori richieste del popolo ai governanti di trattamenti e servizi al di là delle possibilità economiche statali non sia stata indotta, fomentata e pilotata da che poi trae lucro dagli interessi sul debito.

C'è da chiedersi se le sempre maggiori sollecitazioni che vengono al privato perché consideri utili o necessari beni e servizi superflui, per avere i quali è indotto a indebitarsi, non corrisponda al disegno di chi prestando danaro vive, guadagna e accresce il suo potere.

Una società fondata sul debito è una società malata, una società schiava e sotto ricatto: questo non può essere il nuovo ordine mondiale, questo non può essere il destino infame dell'umanità globalizzata.

15:30 Scritto in Pensieri | Link permanente | Commenti (28)