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03/11/2011

Il Diritto Islamico. Prima parte

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Le ultime vicende libiche e, in particolare, la dichiarazione da parte dei vincitori che in quel territorio verrà applicata la Sharia  (alla lettera, "la via da seguire", ma si può anche tradurre con "Legge divina") che non è, come facile intuire, solo una fonte di diritto, ma un «complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica, in cui convivono regole teologiche, morali, rituali e quelle che noi chiameremmo norme di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali, processuali e di diritto bellico» (fonte ecn.org), hanno stimolato la mia curiosità su come sia articolato il diritto islamico.

Certo sarà impossibile da parte mia offrire una rappresentazione completa e assolutamente conforme alla realtà di tale insieme: questo sia per motivi di vastità, di mancanza di uniformità di regole applicate in aree o contesti diversi, di imprecisione o sommarietà della documentazione da me presa in considerazione ai fini della redazione di questo intervento.. o anche per  mie carenze di comprensione.

Ma, volendo comunque intraprendere un viaggio in questo mondo, senza dubbio interessante, inizio col citare un articolo presente in rete sul sito «Ora di religione», ove viene fatta un'importante premessa di cui mi approprio: nel diritto islamico le categorie giuridiche sono più sfumate di quelle europee; pertanto, mentre per il nostro diritto vige la logica binaria del lecito e dell'illecito, secondo quello islamico l'atto giuridico (io direi giuridicamente rilevante) può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato o vietato.

Al termine della mia esposizione vedrò se mi sarà possibile riportare qualche esempio su come si concretino, in pratica, questi interventi «non binari» della legge islamica nella vita dei cittadini-fedeli.

Ma veniamo adesso ad elencare brevemente le fonti del diritto di cui si parla:

Il Corano
La tradizione sacra (Sunna)
L'opinione concorde dei giuristi-teologi (Ijma)
L'interpretazione analogica (Qiyas)

e, come fonti non canoniche:

La consuetudine (Urf)
Le decisioni giudiziarie
Il decreto del Sovrano (Qanun)
Il pubblico interesse (Maslaba).

Il resto alle prossime puntate... ;-)


24/10/2011

Pensionando.. pensionando..

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Non mi spiego la posizione attuale della Lega sulle pensioni... ma non era stato lo stesso Maroni, nella precedente legislatura berlusconiana, ad elevare l'età pensionabile con una riforma poi cancellata dal Governo Prodi?

Ora invece la Lega, e Bossi in particolare, fa resistenze a modificare lo status quo... e non vuole, a quanto capisco, riportare la situazione neppure a quella che lo stesso ministro leghista aveva fatto diventare legge.

Con ciò, sia chiaro, non intendo dichiararmi un sostenitore dell'innalzamento dell'età pensionabile: credo invece che a un certo punto della propria esistenza uno abbia il bisogno (uso bisogno appositamente al posto di diritto perché sono stufo dell'uso e abuso di questo termine) di fermarsi e di condurre una vita più tranquilla, silenziosa e libera, se non altro per prepararsi... al dopo.

E non è affatto detto che se l'economia ha certe esigenze, queste corrispondano, dal punto di vista umano, del buon senso umano, della fisiologia umana, alla soluzione migliore per chi ne è il destinatario, se non la vittima.

Vedrei più logico che l'anziano avesse una minore disponibilità finanziaria, sia pur godendo di agevolazioni di vario genere per ridurre al minimo i costi correnti della vita, piuttosto che obbligarlo a lavorare oltre i propri limiti fisici e psichici, conferendogli poi un trattamento pensionistico e di fine rapporto economicamente più elevato.

C'è bisogno che persone molto avanti con gli anni abbiano tanta disponibilità economica da permettersi auto di gran lusso, da decine di migliaia di euro, come tanti già ne vedo io? e non sto a Cervinia, ma in una zona collinare di un Comune alla periferia di Genova..

Mi chiedo: sono forse anche le pretese e le vanità dei vecchi a rendere più poveri e disperati i giovani?

15/10/2011

Tempi moderni

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E' forse un segno della nemesi che simboli del capitalismo, della civiltà del prodotto frutto dell'impiego di grandi capitali in attività industriali anche sofisticatissime, emblemi quali le Banche o le Borse, insieme ad altri più banali come supermercati ed auto di lusso, siano oggi presi di mira proprio grazie al tremendo potere aggregante di sistemi di comunicazione nati dallo sviluppo tecnologico industrializzato e resi disponibili per la massa.

E' probabilmente presto per dire se il capitalismo morirà proprio per mano degli utilizzatori finali dei suoi migliori prodotti, ma le possibilità paiono non del tutto trascurabili:
la vis distruttiva, la voglia di distruggere, va oltre la capacità stessa di pensare qualcosa di sostitutivo, prescinde da una visione prospettica che offra, dopo, uno sbocco diverso e praticabile, che non sia il solo caos.

Un day after che sarebbe ancor più inconcepibile oggi, in un'epoca in cui quasi nessuno è in grado di vivere, se non usufruendo di quanto distribuito dalla società del consumo:
pensiamo solo per un attimo che l'energia elettrica manchi, così i combustibili, così i beni industriali offerti da supermercati o da esercizi commerciali di qualsiasi genere... cosa faremmo senza? quanti potrebbero autonomamente procurarsi anche il minimo che necessita per vivere?

L'antica civiltà contadina, grazie al suo legame con la terra, sia pure in povertà, era in grado di sopravvivere da sola, era autosufficiente, oltre che solidale al suo interno... ma noi no, noi siamo soltanto pollame di allevamento che, se la macchina automatica che ci sostenta si fermasse, saremmo destinati a soccombere e a finire disperati.

No, non possiamo più permetterci rivoluzioni... non ne abbiamo più la stoffa... moriremmo di fame con l'iPhone in mano.