25/02/2008
La dieta del ciuco

— Povero me, povera la mia famiglia! — gridava singhiozzando Melesecche sul corpo allampanato del suo ciuco che giaceva stecchito attraverso alla stalla. — Che ho fatto io di male in questo mondo, — continuava Melesecche, — per essere perseguitato dalla sventura con tanto accanimento? Eccola lí quella bestia impagabile! Eccola lí la mia speranza, il mio sostegno, il pane per i miei disgraziati figliuoli! Un monte d'ossa e di pelle, senza movimento e senza calore! E Dio solo sa se per avvezzarlo bene avevo adoperato pazienza e fatiche. Trovatelo, se vi riesce, trovatelo un altro ciuco che si pigli di sotto gamba, come se le pigliava lui, some da slombare un manzo. Le bastonate pareva che fossero la sua consolazione; il sole dell'agosto se lo godeva come un rinfresco;
i ghiacci dell'inverno lo riscaldavano tutto; la pioggia, la grandine e la neve s'era abituato a succhiarsele come una benedizione del cielo... E ora... in questi ultimi giorni, sul piú bello... quando gli avevo anche insegnato... — E qui Melesecche s'interruppe per abbandonarsi a uno scoppio di pianto disperato.
— Che v'era riuscito d'insegnargli in questi ultimi giorni, Melesecche? — gli domandò lo
scortichino che era venuto per pigliare la pelle dell'asino.
— Lo avevo avvezzato a non aver piú bisogno di mangiare!
— Non mi burlate!
— No, no, non vi dico altro che la santa verità. Cominciai tre mesi addietro, per la festa di Sant'Antonio, a diminuirgli la sua razione e, giú giú, adagio adagio, l'avevo condotto... dove l'avevo condotto. Sissignore, ora che da tre giorni mi campava veramente bene senza piú sentire il bisogno del cibo... Sissignore! Quel destino infame che non ha voluto mai darmi un'ora di pace, gli salta addosso e me l'ammazza!
Lo scortichino che aveva già cominciato a cavare la pelle all'asino posò il coltello, alzò la testa, guardò in viso Melesecche, e:
— Il destino, il destino! — esclamò, fingendosi commosso. — Tanti tanti, ne ho conosciuti dei ciuchi, e tutti a cotesta maniera! Appena avvezzati a star senza mangiare, hanno fatto come fareste voi: dopo quattro giorni, alla piú lunga, sono morti!
Titolo originale "Il ciuco di Melesecche" di Renato Fucini, noto anche con lo pseudonimo di Neri Tanfucio (Monterotondo Marittimo, 8 aprile 1843 – Empoli, 25 febbraio 1921)
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22/02/2008
Giallo di Febbraio

Saluti a tutti.... questo fine settimana vi lascio con una mia foto floreale (visibile ingrandita in WindowsLiveSpaces, nei link a dx) scattata oggi sul passo della Bocchetta, sul quale mi sono recato con la straordinaria e sempreverde ax, per una passeggiatina digestiva dopo lo stoccafisso di prassi.
Giornata intensa peraltro, perché successivamente, vista la temperatura discretamente mite, tornato a casa, ho estratto dal garage la Versys (la moto) per un giretto sgranchisci pistoni..:-)))
Il caso ha voluto che mi spostassi in una località non troppo distante, dove c'è una piazza, una chiesa, un campetto di calcio, un piccolo spazio giochi per i bambini, una società cattolica con relativo bar..
Arrivo sulla spianata e trovo un imprevisto affollamento.. bandiere tricolori, rosso-crociate di Genova, bianche e gialle, esposte e ondeggianti ai refoli di vento..
Dopo un caffé in società la verità diviene palese: tutti erano in attesa della visita del Cardinale Angelo Bagnasco!
"Lui" è arrivato dopo oltre un'ora rispetto a quella prevista, su un'ammiraglia Lancia grigia con lampeggiante blu..... elegante, distinto, garbato e disponibile, nonostante la sua evidente "diversità" e il suo non comune carisma.
Mentre lo guardavo, una decina di metri più in là, esposto ai residui e deboli raggi del sole, ho pensato che forse più il valore degli uomini rende forti le idee, le religioni, le filosofie, che non la loro oggettiva e intrinseca rilevanza..
Peccato, fossi stato solo che un pochino più "audace" e vicino al suo passaggio, avrei potuto stringergli la mano...;-)
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21/02/2008
Vizi privati e.. filosofiche virtù

Affectus, quibus conflictamur, concipiunt Philosophi veluti vitia, in quae homines sua culpa labuntur; quos propterea ridere, flere, carpere, vel (qui sanctiores videri volunt) detestari solent. Sic ergo se rem divinam facere, et sapientiae culmen attingere credunt, quando humanam naturam, quae nullibi est, multis modis laudare, et eam, quae revera est, dictis lacessere norunt. Homines namque, non ut sunt, sed, ut eosdem esse vellent, concipiunt: unde factum est, ut plerumque pro Ethica Satyram scripserint, et ut nunquam Politicam conceperint, quae possit ad usum revocari, sed quae pro Chimaera haberetur, vel quae in Utopia, vel in illo Poëtarum aureo saeculo, ubi scilicet minime necesse erat, institui potuisset.
I filosofi considerano le passioni che ci travagliano come vizi dei quali gli uomini cadono vittime per propria colpa; ed è per questo che hanno l'abitudine a deriderle, deplorarle, biasimarle, o (se vogliono essere considerati più devoti) di maledirle. Essi ritengono pertanto di fare opera divina e di toccare il vertice della saggezza quando riescono a lodare in ogni modo una natura umana che non esiste in nessun luogo e a fustigare con le parole quella che realmente esiste. E infatti essi considerano gli uomini, non come sono, ma come vorrebbero che fossero: è per questo che per lo più, argomentando a favore dell'etica, hanno invece scritto una satira, e non hanno mai concepito una politica che potesse essere messa in pratica, ma teorie da considerare chimeriche o che avrebbero potuto trovare realizzazione nel paese di Utopia, o nell'età dell'oro dei poeti, laddove senza dubbio di esse non v'era la minima necessità.
[da il Trattato politico di Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 – L'Aia, 21 febbraio 1677)]
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